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Intervista a Tullio Toti

mar. 7 febbraio 2012

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Protagonista di questa intervista, Tullio Toti collabora da anni nel Gruppo che si occupa della Fisiopatologia Masticatoria dell’Unità Operativa di Odontoiatria dell’I.S.U. San Raffaele di Milano diretta da Enrico Gherlone.

Lei si occupa di problematiche occlusali da molto tempo. Come è nato questo interesse?
Dal 1987 quando seguii un corso di protesi, tenuto dal collega e amico Alfredo Modesti, che diede a tutti noi le basi gnatologiche della scuola di P.K. Thomas. Mi appassionai ai risultati ma, nel contempo, cominciai a rendermi conto che a volte non bastava centrare una linea mediana o recuperare una posizione mandibolare che non evocasse dolore o rumore. Si fece strada in me la convinzione che fosse necessario analizzare i pazienti disfunzionali dal punto di vista articolare ma anche considerando le correlazioni neuro muscolari. Nacquero un sodalizio intellettuale e un’amicizia con Gian Mario Esposito che portò tutti e due, dapprima insieme, seguendo i lavori di J.P. Meersseman, e poi distintamente ad approfondire queste problematiche.

Parliamo di più di vent’anni fa. Tralasciando quella che sarà stata la sua evoluzione, come interpreta le problematiche dei pazienti disfunzionali?
Ovviamente oggi le condizioni sono molto diverse. La tecnologia tenta di esserci d’aiuto, la sensibilità dei colleghi si è acuita e, devo dire, anche quella dei pazienti. In ogni caso credo che l’approccio di base al paziente disfunzionale debba rimanere sempre quello di considerare unico e irripetibile il rapporto spaziale ideale cranio-mandibolare di ogni persona (cum grano salis naturalmente).

Lei tocca temi importanti. Cominciamo dal primo: perché dice che la tecnologia “tenta di essere d’aiuto”?
Perché alcuni test strumentali non sono ancora ritenuti completamente affidabili. Dipende dal fatto che, in ambito posturale e quindi anche occluso-posturale, chi non evidenzia o denuncia particolari sintomi, ad esempio il dolore, non è mai nel perfetto cardinale equilibrio: ogni persona in stato di benessere è “perfettamente storta” come il suo sistema prevede affinché tutte le funzioni, deambulatoria, deglutitoria e visiva, ad esempio si effettuino senza problemi. In conclusione quando si esamina clinicamente un paziente, se occorre cercare la causa della sua disfunzione, non ci si deve tuttavia porre il fine di riequilibrarlo come previsto dal modello ideale. Piuttosto si dovrebbe cercare di riportarlo nel suo equilibrio, che spesso si discosta dal primo, per risolvere le tensioni e i dolori causati dalla disfunzione.

Lei cita un’accentuata sensibilità da parte dei colleghi ai problemi occlusoposturali. Perché avviene ciò?
Dipende dal fatto che oggi l’odontoiatria ha fatto progressi enormi dal punto di vista clinico scientifico, per cui molti dei problemi pratici e urgenti, anche solo di dieci o vent’anni fa sono risolti. (Si pensi ad esempio, all’enorme evoluzione dell’implantologia). L’aspetto che più soddisfa è rendersi conto come, pian piano, si stia facendo strada una nuova interpretazione del paziente disfunzionale. Con tale termine non bisogna intendere solo i pazienti che manifestano dolore o rumore articolare, ma vanno considerati tutti coloro che hanno perso l’originario rapporto cranio mandibolare. In conclusione è bene, specie nella progettazione di piani di trattamento importanti, analizzare i pazienti anche in chiave occluso-posturale per valutare i parametri personali del rapporto spaziale mandibolo-mascellare per una terapia il più possibile accettata dal sistema neuro muscolare e propriocettivo di un individuo.

Lei ha sottolineato la necessità di un buon rapporto cranio mandibolare per uno stabile benessere dell’individuo. Ma i dati scientifici in questo senso non sono ancora certi.
Ne sono assolutamente consapevole ma non me ne stupisco. Se in una ricerca si analizza il sistema occluso-posturale cercando di verificare una reazione costante causa-effetto non riusciremo mai nell’intento. Ognuno di noi vive in stato più o meno evidente di benessere essendosi il sistema adattato nel corso degli anni alle eventuali noxae inserite. Quindi la reazione a un disturbo, immaginiamo un precontatto, sarà evidenziata in funzione degli adattamenti precedenti. Inoltre, perché si evidenzi una variazione di assetto posturale, il disturbo dev’essere mal tollerato dal sistema. Qui entra anche in gioco la capacità personale e temporanea di tolleranza alla noxa. Se poi consideriamo anche le variabili presenti nel sistema occlusale si può ben intendere come la via dell’indagine scientifica sia lastricata di ostacoli. D’altro canto non vedo come, in linea di principio, si possa escludere a priori un coinvolgimento dell’occlusione nel sistema posturale, visto che diamo per assodato quello del sistema podalico, visivo e rachideo. Sarà fondamentale stabilirne la ponderabilità, soprattutto per evitare esagerazioni che potrebbero indurre in equivoco il clinico e produrre eccessive aspettative nei pazienti. Come sempre la virtù sta nell’equilibrio: come è azzardato sostenere che l’occlusione non ha influenza nella omeostasi cranio cervicale, lo è anche dire che ne è l’unica responsabile. La diagnosi differenziale è l’arma più potente in mano al medico e in campo occluso-posturale non si fa eccezione. Ma prevedo un lungo percorso sia clinico che di ricerca.

Come pensa di percorrerlo? Da solo?
Da soli non si va da nessuna parte. Non condivido coloro che, in qualsiasi disciplina scientifica o umanistica, si chiudono nelle loro stanze convinti di aver capito e di non essere capiti. Il primo dovere di un individuo è quello di mettersi in dubbio e confrontarsi.

Lei collabora da anni con Enrico Gherlone e con l’Unità Operativa di Odontoiatria dell’I.S.U. San Raffaele. Quanto ha contribuito a determinare la sua odierna visione della materia?
Moltissimo. Onorandomi della sua stima e amicizia dal 1984, Gherlone mi ha dato lo spazio per il coordinamento del gruppo che si occupa della Fisiopatologia Masticatoria (costituito da Roberto Broggi, Roberta Carrera, Gabriella Maccali e Carlo Saetta) dell’Unità Operativa che egli dirige. Gli devo molto per tanti aspetti, uno su tutti: mi ha fatto uscire dalle mie stanze consentendomi, grazie al confronto coi colleghi del Reparto, di avere verifiche importanti su quanto ho prima affermato sull’approccio al paziente disfunzionale e sulla sua definizione. Il Gruppo di Fisiopatologia masticatoria, in particolare, mi è di continuo stimolo positivo per chiarire, semplificare e attualizzare le tecniche di diagnosi, terapia iniziale diagnostica e finalizzazione.

Perché dice “terapia iniziale diagnostica”?
Quando la mal posizione spaziale della mandibola in rapporto al cranio, determinata da un’incongrua occlusione, ha cronicizzato schemi muscolari deglutitori di adattamento, sarà necessario, prima di procedere alla riabilitazione, ortodontica o protesica, ricorrere a una rieducazione della funzione e quindi anche degli schemi muscolari con un presidio che mimi la corretta occlusione. Mi riferisco a una placca occlusale cuspidata inserita nell’arcata inferiore, per favorire la compliance del paziente, portata per 24 ore esclusi i pasti. Questa placca, il cui nome tecnico è splint inferiore di riposizionamento mandibolare, di fatto costituisce uno splendido strumento diagnostico perché al termine di un periodo di 4/6 mesi, dopo le modifiche necessarie, costituirà presidio indispensabile per individuare la chiave occlusale della riabilitazione finale.

Spesso lei parla al plurale, si riferisce ai colleghi che ha sopra nominato?
A loro certo ma anche a quelli che, negli anni, hanno seguito e stanno seguendo i corsi di formazione nella materia.

A tal proposito come vede tracciabile un programma di formazione in semeiotica occluso-posturale?
Lo scoglio più grosso da superare, per chi si avvicina alla materia, non è dover imparare tecniche o studiare correlazioni neuro muscolari, ma cambiare mentalità di approccio clinico al paziente. Una volta superato questo, poiché l’arte odontoiatrica non si inventa, basterà applicarsi secondo i protocolli accademici tenendo conto che ogni paziente è diverso dal precedente e dal successivo, per cui avrà bisogno del personale inquadramento e riequilibrio.

In conclusione lei interpreta questo particolare inquadramento del paziente disfunzionale in chiave prettamente diagnostica. Non prevede particolari tecniche terapeutiche?
Fatta eccezione delle modalità di ricerca personalizzata degli indici occlusali necessari alla costruzione dello splint, direi di no. La ricerca delle eventuali disfunzioni occluso-posturali è materia diagnostica, quindi di pertinenza medica o odontoiatrica. Ogni professionista ha cultura, esperienza e capacità per finalizzare i suoi pazienti come sempre, tenendo conto di quanto esposto.

C’è un’ultima considerazione da fare in chiusura?
L’auspicio è che nei prossimi anni si possa, grazie a studi multicentrici, avere riscontri che sciolgano, o inizino a sciogliere la dissonanza indiscutibile tra evidenza scientifica e clinica. Sarà strada lunga e credo che non ne vedrò la fine ma sarà di grande soddisfazione averla avviata.

 

L'articolo è stato pubblicato sul numero 1 Dental Tribune 2012 Italy.

One thought on “Intervista a Tullio Toti

  1. laura says:

    io vorrei fare una visita con lei….ho una malocclusione dentale….

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